Giacomo Tachis – Mescolavin


Un libro su Giacomo Tachis, l’enologo che contribuì al Rinascimento italiano e al mito del Sassicaia. Cinquecento pagine in formato gigante con il contributo di oltre cento persone per un ritratto completo

Giacomo Tachis – Mescolavin


La vita, le opere e i luoghi del più rivoluzionario enologo del ventesimo secolo

In un volume fotografico tutta la sua storia

“Degustando il vino in poltrona si può vedere l’immenso”.
Giacomo Tachis


La figura eccezionale di Giacomo Tachis esce dipinta di variegati colori, in piena luce. L’uomo Tachis, ancor prima dell’enologo visionario Tachis. Una persona generosa, umile, non legata al denaro (spesso non si faceva pagare le consulenze), di spirito brillante, pratico e lavoratore ma anche colto, amante dei libri, della lettura e della buona cucina.
Tasselli che caratterizzano il racconto di tutti gli oltre cento personaggi coinvolti per scrivere il loro percorso professionale o di vita con lui, il mescolavin. Così si faceva chiamare, schernendosi, l’enologo che cambiò le sorti del vino italiano. Tutti quelli che l’hanno conosciuto confermano il suo dono innato: una sorprendente capacità di capire al volo il taglio da fare, di interpretare i singoli campioni e concepirli nell’unità e nel tempo.

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Nasce in Piemonte Tachis, a Poarin nel 1933, si diploma alla Scuola Enologica di Alba e dopo brevi esperienze (tra le quali quella alla Vinicola Alberti Tommasi di Imola), nel ‘61 diventa il direttore tecnico di Antinori, ruolo che manterrà fino al giorno della sua pensione, 31 anni dopo.
Con Piero Antinori hanno scritto pagine di storia del vino che resteranno per sempre nella memoria dell’enologia italiana. Insieme fecero una rivoluzione vinicola, prima con il Tignanello (prima uscita nel 1971 come vino da tavola), poi con il Solaia, nel 1978, e infine con Guado al Tasso nel 1990.
Nel frattempo però, Piero Antinori, nipote di Mario Incisa della Rocchetta, spinge lo zio a mettere in commercio il vin de garage (all’epoca) Sassicaia, prendendosi in carico la responsabilità delle vendite. Nel contempo mise Tachis come enologo, che nel 1968 crea la prima “annata ufficiale” del vino mito.
Antinori, durante il periodo in cui Tachis lavorò per lui, gli concesse di lavorare per altre aziende, con l’idea lungimirante che un innalzamento complessivo della qualità dei vini avrebbe solo fatto del bene a tutta l’Italia del vino. Un marchese illuminato, non c’è che dire.

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Così “Mino” come lo chiamavano gli amici (e ne aveva davvero tanti, come appare evidente tra le righe del testo) diede vita ad altri suoi “figli”, come scherzosamente li chiamava. Con Castello dei Rampolla ideò il Sammarco e il Rosso d’Alceo, si occupò della Vernaccia di Riccardo Falchini (furono grandi amici), del Chianti Classico di Castell’invilla, del Vin Santo di Riseccoli, e poi creò Saffredi a Fattorie Le Pupille, il Terre Brune di Santadi, contribuì al successo del San Leonardo di Tenuta San Leonardo, ideò il Turriga di Argiolas e il Mille e una Notte di Donna Fugata. E tutto questo finché già lavorava dagli Antinori.
Poi, quando andò in pensione a 59 anni, collaborò con l’Istituto della Vite e del Vino nella sua amata Sicilia. Successivamente, in ogni azienda dove andò a lavorare mise al mondo altre sue “creature”: da Umani Ronchi il Pelago; da Querciabella il Bậtar; a Tenuta di Argiano il Solengo; da Ceuso il Ceuso; all’Abbazia Santa Anastasia il Litra; da Il Pollenza Il Pollenza; da Mannucci Droandi il Campolucci; da Tenute Niccolai I’Niccolò; da Duca di Salaparuta Triskelè e Nawari; all’Agricola Punica il Barrua; da Tenuta dell’Alberese il Barbicato (nel 2003 e pare essere l’ultimo nato).
Un’impressionante serie di etichette di indubbio pregio, ideate pensando alla valorizzazione di interi territori italiani, senza anteporre la tecnica alla terra, lasciando un’eredità incredibile alle generazioni successive e dando dignità al vino italiano, portandolo a competere sulla scena internazionale.

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Nel 2010, a 77 anni, si ritira a vita privata nell’amato studio affacciato sulla campagna, di fronte alle vecchie cantine Antinori. Lì aveva accumulato una biblioteca vastissima di 3.577 volumi, tra testi di agricoltura, agronomia, enologia, classici greci e latini, testi di chimica e biologia (“passavo le notti sui libri”), appunti e riflessioni sul suo mondo enologico.
Tachis fu uomo di cultura e bibliofilo.
Secondo lui l’enologia avrebbe dovuto fondarsi “sull’interpretazione umana dell’uva”, e usava, oltre alla conoscenza tecnico scientifica, la cultura storico-letteraria, la conoscenza ambientale-paesaggistica, unite insieme alla sua sensibilità interpretativa.
Quando ci lasciò, a 83 anni nel 2016, aveva già previsto di lasciare la biblioteca di cui era molto orgoglioso alla Fondazione ChiantiBanca, che per l’appunto ha pubblicato questo libro di Carlo Cambi Editore. Ci ha trasmesso così il messaggio definitivo che il vino nasca dalla cultura ed esso stesso sia cultura.

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Gli intervistati lo descrivono come una persona arguta, dalla battuta fulminante.
Per i giovani aveva molta simpatia e si spendeva volentieri nel trasmettere le sue conoscenze. E amava il cibo, il simposio era uno dei suoi piaceri. Per questo il bravo Andrea Cappelli, curatore del bellissimo tomo che si fa leggere in scorrevolezza, ha riservato una parte anche ai ristoranti stellati: una ricetta per un vino di Tachis.
Di grande effetto, anche per le dimensioni del volume, le fotografie di Bruno Bruchi.
Molto azzeccata la scelta della copertina: il “Giovinetto di Mothia”, statua in marmo conservata presso la Fondazione Giuseppe Whitaker, omaggio all’amore di Tachis verso quest’isola e per i classici.
Un libro che aiuta a comprendere l’enologo umanista che cambiò le sorti del vino italiano, un giusto tributo ad un grande uomo.

Giacomo Tachis
A cura di Andrea Cappelli
Foto di Bruno Bruchi
Carlo Cambi Editore



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